La discriminazione giovanile crea un danno alle aziende italiane?
“assistiamo a un impoverimento delle comunità che si trovano sprovviste di risorse per affrontare il futuro“
Si sente tanto parlare di diversità aziendale, ma sarà poi vero che è così importante? La mancanza di diversità crea davvero un danno economico alle aziende? Quanto peso ha la discriminazione giovanile in questo dibattito?
Per rispondere a queste domande abbiamo provato a partire da un dato, che è quello della migrazione. Secondo l’analisi dell’Istituto Toniolo apprendiamo che gli italiani residenti all’estero sono passati da poco più di 3,1 milioni nel 2006 a 5,3 nel 2019, con un aumento del 70% e che ci ricorda come il numero di emigrati non solo sia grande ma sempre più in crescita.
La mobilità in sé non è un fatto negativo, ed è anzi ormai un dato scontato per questa generazione di nativi cosmopoliti. Quello che però deve allarmarci è che il saldo migratorio per l’Italia sia sempre in negativo, ovvero: le persone che partono sono in numero superiore a quelle che arrivano o rientrano.
Ogni anno si registrano circa 90 mila nuovi residenti italiani all’estero, residenti all’estero, tutti/e in età compresa tra 20-45 anni. Tra questi anche giovani emigrati/e di seconda generazione che preferiscono destinare il loro futuro altrove. Sono tutte persone abituate alla mobilità, che condividono un’idea del mondo cosmopolita e che però, a differenza dei coetanei e delle coetanee europee, non si spostano per scelta ma per necessità.
A causa di questo fenomeno migratorio, laddove il bacino di persone giovani si svuota, assistiamo a un impoverimento delle comunità che si trovano sprovviste di risorse per affrontare il futuro. Viene infatti a mancare quella spinta verso il domani costituita da individui partecipi della vita culturale, politica ed economica del territorio. La trasformazione di questi luoghi viene così destinata a una condizione di abbandono, spesso nelle mani di coloro che, per privilegio o per sopraffazione, avranno il potere di decidere le sorti di quella comunità.
Ma cosa spinge i e le giovani a emigrare?
La discriminazione è un problema sistemico
“una complessità di mancanze che spengono la capacità individuale di immaginarsi in un futuro personale e collettivo“
Secondo l’Istituto Giuseppe Toniolo che ha recentemente pubblicato il Rapporto Giovani 2020, è diffuso da parte delle persone giovani un forte sentimento di sfiducia verso il futuro, legato spesso alla precarizzazione del lavoro, a titoli di studio che rispecchiano grandi diseguaglianze economiche (ossia chi frequenta migliori università ha più facile accesso a migliore impiego) fino ad arrivare alla scarsa fiducia nelle istituzioni. Il tema delle ambizioni lavorative cambia tra abitanti del Nord e del Sud, ma resta l’incapacità di proiettarsi nel futuro con progetti a lungo termine. Questo li spinge a emigrare, sia da Sud a Nord che dall’Italia verso l’estero (troviamo ai vertici Lombardia, Veneto, Sicilia) per mettersi alla ricerca di un sistema di lavoro più accessibile e soprattutto meritocratico.
L’evidenza di questo studio ci ricorda come il problema sia attualissimo e non sia da trovarsi in un’unica causa (ad esempio la mancanza di lavoro) ma in una complessità di mancanze che spengono la capacità individuale di immaginarsi in un futuro personale e collettivo.
L’impossibilità di proiettarsi come attori partecipi della vita civile di una comunità, avente accesso sicuro a istituzioni come la sanità, l’istruzione, la giustizia, ma soprattutto di poter sopravvivere nel proprio domani, è già in sé e per sé una forma di discriminazione a causa della quale molti sono spinti a cercare fortuna altrove.
Ma cosa succede a coloro che invece decidono di restare in Italia? È così vero che affrontano una condizione di discriminazione?
La discriminazione è un fatto culturale
“le aziende italiane faticano a creare un clima capace di creare ambienti di lavoro che tengano conto delle diversità degli individui“
Anche in questo caso purtroppo i dati non sono confortanti. Grazie a diversi indicatori di diversità apprendiamo che le aziende italiane faticano a creare un clima capace di creare ambienti di lavoro che tengano conto delle diversità degli individui, ad esempio di tipo culturale, di genere e intergenerazionale.
In questo caso però non è più possibile parlare di un tipo di discriminazione “invisibile” o “percepita”, bensì di discriminazione diretta nei luoghi di lavoro. Un esempio è la classica job description “ricerchiamo tirocinante con esperienza”, una contraddizione in termini. Un’altra forma di discriminazione è il ricatto al dover accettare contratti di lavoro con buste paga mortificanti, accompagnate da esperienze di tirocinio totalmente in assenza di un progetto di crescita. Altro atteggiamento marcatamente più diretto è il bullismo nei luoghi di lavoro che mette sempre alla prova il lavoratore o la lavoratrice più giovane in quanto tale.
Stando alle ricerche di Alessandrini e Mallen, questo è dovuto alla scarsa consapevolezza dei meccanismi che creano discriminazione all’interno delle aziende italiane, e che per questo perpetuano relazioni e sistemi di lavoro dannosi per l’ecosistema aziendale.
L’incapacità di superare questi preconcetti però non trova sostegno nelle giovani generazioni di oggi. È noto infatti che i cosiddetti millennials siano guidati da una modalità di lavoro aperta alla condivisione, da un progetto di crescita, attenta all’impatto sull’ambiente e sulle persone. In assenza di queste condizioni, molti dei giovani italiani decidono di mettersi in gioco in aziende dove invece il talento viene valorizzato con un danno economico alle aziende.
Il danno è economico
“le aziende che investono in CSR riscontrano un aumento del proprio fatturato fino al 40% nell’arco di 16 anni“
Stando a un’analisi raccolta dall’iniziativa #IamRemarkable, solo nel 2020 si stima che 64 miliardi sia il costo complessivo per le aziende americane che hanno dovuto affrontare il rimpiazzamento del proprio personale a causa di discriminazione sul lavoro. Per converso, le aziende che investono in una cultura del lavoro più inclusiva (che tenga conto delle differenze di genere, etnia, età, etc. ) riscontrano un potenziale di miglioramento del fatturato del +27% .
Questi indicatori economici rispondono a diversi fenomeni: da un lato c’è l’aspetto della performance – dipendenti felici sono dipendenti più coinvolti/e – e dall’altro c’è quello dell’interesse da parte dei clienti: le aziende con maggiore attenzione per la responsabilità sociale (CSR) non solo sono quelle più scelte dai consumatori, ma sono anche quelle che ricevono maggiori investimenti finanziari.
Secondo il rapporto Socialis, questo trend è in crescita anche in Italia: le aziende che investono in CSR riscontrano un aumento del proprio fatturato fino al 40% nell’arco di 16 anni. In generale “oltre il 50% delle aziende che ha investito in CSR ha rilevato un miglioramento del proprio posizionamento, della reputazione e anche della notorietà”, Alessandrini e Mallen.
Allo stesso modo, il Diversity & Inclusion Index realizzato da Refinitiv (Thomson & Reuters) che tiene conto degli indicatori di performance di oltre 7000 aziende nel mondo, ci conferma come l’inclusione sia uno dei fattori di analisi di valutazione di queste aziende, e che per questo contribuisce al loro prestigio agli occhi degli investitori.
Non abbiamo più speranza?
“innovare non solo dal punto di vista della ricerca tecnologica, ma anche dell’organizzazione del personale“
La speranza c’è e la troviamo negli esempi virtuosi di aziende che nonostante le difficoltà provano a fare bene. Si tratta di grandi e piccole realtà come TIM e il gruppo Hera, che hanno la capacità di innovare non solo dal punto di vista della ricerca tecnologica, ma anche dell’organizzazione del personale (altro dato che ci conferma come le due cose vadano di pari passo). Anche l’artigianato e le aziende più piccole si fanno portatrici di un nuovo modo di pensare il lavoro. Purtroppo queste non ricevono gli stessi riflettori dei grandi marchi, ma operano con la stessa attenzione per il proprio personale e registrano performance di fatturato costantemente in crescita.
Si tratta di aziende che avviano un patto intergenerazionale che comprende questi elementi:
- Riconoscimento della diversità
- Piano di crescita individuale e professionale
- Formazione continua
- Passaggio delle competenze con programmi di mentoring
Nei prossimi articoli parleremo anche di queste realtà, per portare in luce quelle buone pratiche che ci danno il coraggio di fare i giusti sforzi nella direzione dell’inclusione sociale.
Conclusione
“Dobbiamo sfruttare questo momento di crisi per riscrivere quel patto tra generazioni e generi fatto di bisogni, competenze, merito.“
Pensare che i dipendenti possano rimanere nella stessa azienda per sempre è ormai una richiesta e un’aspettativa irrealizzabile, sia per i datori di lavoro che per i lavoratori stessi. Questa mobilità però deve farci chiedere che tipo di mondo vogliamo creare una volta che questi dipendenti abbandoneranno la nostra azienda, che sia per un colloquio o per una posizione di lavoro: come parleranno di noi? Qual è l’impatto che la nostra azienda può avere nella vita di queste persone? Che esseri umani avremo reintrodotto nella società migliori, peggiori?La responsabilità sta sempre nelle nostre scelte, e possiamo decidere di cambiarle ogni giorno per generare un impatto positivo intorno a noi, qualsiasi sia il nostro ruolo.
In un contesto già molto fragile, il Covid ha inasprito tutte le diseguaglianze del contesto italiano. Metterci in moto per ridurle non solo è possibile ma è più che mai obbligatorio. Dobbiamo sfruttare questo momento di crisi per riscrivere quel patto tra generazioni e generi fatto di bisogni, competenze, merito. Le soluzioni sono alla nostra portata e non ci chiedono altro che di essere colte. Sono soluzioni fatte di ascolto, empatia, relazione, impegno. Se falliremo in questo intento avremo fallito con la promessa della vita che verrà, inclusa la nostra.
References
- Alessandrini, Mallen Diversity management : genere e generazioni per una sostenibilità resiliente Armando 2020
- Dove lavorare in Italia: La classifica delle aziende migliori.
https://www.corriere.it/economia/aziende/cards/aziende-migliori-dove-andare-lavorare/birra-banca_principale.shtml
- Haslam Alexander, Psicologia delle Organizzazioni Maggioli Editore 2004
- La condizione giovanile in italia. Rapporto Giovani 2020 – Istituto Giuseppe Toniolo, Il Mulino 2020
- Studio dei fenomeni di discriminazione
https://www.regione.puglia.it/documents/50493/80175/Rapporto+finaleIPRS_discr_gen.pdf/e49a3c82-89e7-cb66-94db-d5da4a121605?t=1577110238230
- Iniziativa #IamRemarkable
https://iamremarkable.withgoogle.com/